Tutto ciò che delle mie letture mi incuriosisce, mi emoziona, mi fa arrabbiare, mi fa sorridere, mi porta via, mi resta addosso per tanto tempo. Come la forma dell'intreccio della paglia. A gambe nude, d'estate.

mercoledì 19 settembre 2012

Da "Una storia semplice", di Leonardo Sciascia (Adelphi, 1989)




Il telefonista annotò l'ora e il nome della persona che telefonava: Giorgio Roccella. Aveva una voce educata, calma, suadente. 'Come tutti i folli' pensò il telefonista. Chiedeva infatti, il signor Roccella, del questore: una follia, specialmente a quell'ora e in quella particolare serata.
Il telefonista si sforzò allo stesso tono, ma riuscendo a una caricaturale imitazione, resa più scoperta dalla freddura con cui rispose: "Ma il questore non è mai in questura a quest'ora", freddura che in quegli uffici abitualmente correva sulle frequenti assenze del questore. E aggiunse: "Le passo l'ufficio del commissario", col gusto di far dispetto al commissario, che certo stava in quel momento per lasciare l'ufficio.
Il commissario si stava infatti infilando il cappotto. Prese il telefono il brigadiere che aveva tavolo ad angolo con quello del commissario. Ascoltò, cercò sul tavolo una matita e un pezzo di carta; e mentre scriveva rispondeva che sì, sarebbero andati al più presto possibile ma appena possibile, così collocando la possibilità in modo da non illudere sulla prestezza.


(...)


"Signor questore..." intervenne il brigadiere.
"Quello che hai da dire, lo dirai poi nel tuo rapporto... Intanto...": ma non sapeva intanto cosa ci fosse da dire o da fare se non ripetere: "Suicidio, caso evidente di suicidio".
Il brigadiere tentò ancora: "Signor questore...". Voleva dirgli della telefonata della sera prima, di quel punto dopo l' "ho trovato". Ma il questore tagliò: "Vogliamo il rapporto", indicò sé e il procuratore della Repubblica, guardò l'orologio, "nel primo pomeriggio". E rivolto al procuratore e al colonnello: "Questo è un caso semplice, bisogna non farlo montare e sbrigarcene al più presto... Vai a scrivere il rapporto, subito".
Automaticamente, il colonnello vide, invece, il caso molto complicato, e comunque da non sbrigarsene al più presto. Scattava subito, pregiudizialmente, quali che fossero le persone che le rappresentavano, una irriducibile disparità di punti di vista tra le due istituzioni: l'arma dei carabinieri, il corpo di polizia. Un lungo, storico contenzioso li divideva: e tutti i cittadini che ci cadevano in mezzo finivano col dibattervisi drammaticamente.
Il brigadiere disse: "Signorsì", uscì a ritrovare la macchina di pattuglia con cui era venuto e che era ritornata. Ma poiché il questore lo aveva indispettito, ed essendo quasi del tutto sprovvisto di quel che si suol chiamare spirito di corpo - cioè del considerare parte maggiore del tutto il corpo cui apparteneva, di ritenerlo infallibile e, nella eventuale fallibilità, intoccabile, traboccante di ragione soprattutto quando aveva torto - ebbe una beffarda idea.
Nell'automobile con cui il colonnello era venuto, seduto al volante stava il brigadiere (dei carabinieri) che la guidava. Il nostro brigadiere andò a sederglisi a lato, ché lo conosceva bene anche se senza confidenza: e gli raccontò tutto quel che sapeva del caso, tutti i suoi sospetti. Gli indicò anche, alle porte dei magazzini, quei catenacci nuovi, lucidi; e se ne tornò in ufficio come alleggerito, a scrivere in due ore e passa quel che al suo pari grado aveva raccontato in cinque minuti.
Così, tornando in città, il colonnello dei carabinieri seppe dal suo brigadiere quel che ci voleva per rendere il caso più complicato di quanto il questore desiderasse.


(...)


Il magistrato si era intanto alzato ad accogliere il suo vecchio professore. "Con quale piacere la rivedo, dopo tanti anni!".
"Tanti: e mi pesano" convenne il professore.
"Ma che dice? Lei non è mutato per nulla, nell'aspetto".
"Lei sì" disse il professore con la solita franchezza.
"Questo maledetto lavoro... Ma perché mi dà del lei?".
"Come allora" disse il professore.
"Ma ormai...".
"No".
"Ma si ricorda di me?".
"Certo che mi ricordo".
"Posso permettermi di farle una domanda?... Poi gliene farò altre, di altra natura... Nei componimenti d'italiano lei mi assegnava sempre un tre, perché copiavo. Ma una volta mi ha dato un cinque: perché?".
"Perché aveva copiato da un autore più intelligente".
Il magistrato scoppiò a ridere. "L'italiano: ero piuttosto debole in italiano. Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio: sono qui, procuratore della Repubblica...".
"L'italiano non è l'italiano: è il ragionare" disse il professore. "Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto".
La battuta era feroce. Il magistrato impallidì. E passò a un duro interrogatorio.


(...)


"Che cretino!" disse il magistrato: ad elogio funebre del commissario.

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