da Il pretendente Menado
Arrivando a San Sebastiano, trovammo che alla fine di agosto era già autunno. Dal caldo di Granada e dal grigio degli ulivi, risalendo a nord, eravamo passati al fresco e al verde cupo dei Paesi Baschi: un verde che si rifletteva sempre meno denso e già venato di rame nelle acque dell'Urumea.
Un taxista ci aveva consigliato un albergo di fronte al mare, a metà di quel cerchio che la spiaggia della Concha disegna tra due promontori, formando un lago tondo, a forma di conchiglia. Dalla finestra vedevo il mare e le sponde verdi che lo chiudevano, i Grands Hôtels chiusi, e la promenade interminabile, coi lampioni monumentali a tre palle in stile Louis Blanc. La pigra vita di San Sebastiano, in quei giorni quasi deserta, l'aspetto fin de siècle della città e il suo lusso decaduto dei tempi di Maria Cristina, ma più ancora il trovarci insieme dopo un così lungo giro, quasi fuggiaschi e complici, fece di noi un gruppo tanto omogeneo che tutti prendevano Yvette e me per buoni coniugi e la vecchia per una cara suocera. Passavamo dalle panche dei giardini alle terrazze coperte dei caffè, calmi e sereni come persone che vedono con tranquilla malinconia finire l'estate e la vacanza.