Tutto ciò che delle mie letture mi incuriosisce, mi emoziona, mi fa arrabbiare, mi fa sorridere, mi porta via, mi resta addosso per tanto tempo. Come la forma dell'intreccio della paglia. A gambe nude, d'estate.

lunedì 23 settembre 2013

Da "Mille splendidi soli", di Khaled Hosseini (Edizioni Piemme, 2007)




C'era un punto panoramico, al limite della radura, che Mariam amava in modo particolare. Si sedette sull'erba asciutta e tiepida. Da lì poteva ammirare Herat, che si stendeva ai suoi piedi come il plastico di un gioco infantile: il Giardino delle Donne a nord della città, il bazar Char-suq e le rovine dell'antica fortezza di Alessandro Magno a sud. Riusciva a distinguere in lontananza i minareti, come dita polverose di giganti, e le strade che immaginava pullulanti di persone, di carri, di muli. Osservava le rondini scendere in picchiata o volare in tondo sopra la sua testa. Invidiava quegli uccelli. Loro erano stati a Herat.


martedì 17 settembre 2013

Da "Gli anni veloci", di Carmine Abate (Mondadori, 2011)




Che la vita è comunque bella: ecco cosa non devi mai scordare.

Erano sempre giornate di sole. "Ti raccomando..." diceva la madre sulla soglia di casa. Il ragazzino corrugava la fronte pensieroso, come se quella parola sospesa nascondesse apprensioni o pericoli che gli sfuggivano. Poi però non perdeva altro tempo: montava in bici per primo e con uno scatto a testa bassa raggiungeva il lungomare. Solo allora, senza mai rallentare la corsa, liberava il grido di felicità che tratteneva in gola dal mattino.
All'improvviso sentiva alle spalle la voce del padre: "Dài, Nicola, più svelto, più svelto!". Lui stringeva i denti e pedalava a tutta forza, non voleva arrivare ultimo al traguardo, ma le bici di Mario e del padre lo superavano veloci.
Attraversavano la zona del porto e il viale alberato sotto il Castello di Carlo V, poi costeggiavano la strada sterrata verso l'uscita della città.

lunedì 9 settembre 2013

Da "Chi ti ama così", di Edith Bruck (Marsilio, 1998)




Io avevo appena sette anni, andavo a scuola ed ero felice perché quello era l'unico rifugio dalle liti familiari. Negli altri giorni, quando non potevo più sopportare nessuno, andavo nel bosco vicino e, distesa nel fango ghiacciato, piangevo per lunghe ore. Quando mi doleva la schiena e avevo fame me ne tornavo a casa dove mia madre mi strofinava le mani e i piedi per riscaldarmi. Molte volte uscivo proprio per questo: quando tornavo, mia madre era affettuosa e con le sue mani grassocce e vellutate mi accarezzava con tenerezza.


lunedì 2 settembre 2013

Da "Un covo di vipere", di Andrea Camilleri (Sellerio editore Palermo, 2013)




Che la 'ntricata foresta dintra alla quali lui e Livia si erano vinuti ad attrovari, senza sapiri né pircome né pirchì, fosse virgini non c'era nisciun dubbio pirchì 'na decina di metri narrè avivano viduto un cartello di ligno 'nchiovato al tronco di un àrbolo supra il quali ci stava scrivuto con littre marchiate a foco: foresta vergine. Parivano Adamo ed Eva in quanto erano tutti e dù completamenti nudi e si cummigliavano le cosiddette vrigogne, le quali, a pinsarici bono, non avivano nenti di vrigognoso, con le classiche foglie di fico che si erano accattate da 'na bancarella all'entrata a un euro l'una ed erano fatte di plastica. Siccome erano rigide, davano tanticchia di fastiddio. Ma quello che cchiù fastiddiava era il caminare a pedi nudi.