Tutto ciò che delle mie letture mi incuriosisce, mi emoziona, mi fa arrabbiare, mi fa sorridere, mi porta via, mi resta addosso per tanto tempo. Come la forma dell'intreccio della paglia. A gambe nude, d'estate.

mercoledì 31 ottobre 2012

Da "Gomorra", di Roberto Saviano (Mondadori, 2006)




La tensione diviene una sorta di schermo che si frappone tra le persone. In guerra gli occhi smettono di essere distratti. (...) In guerra tutti i sensi moltiplicano la propria soglia di attenzione, è come se si percepisse più acutamente, si guardasse più a fondo, si sentissero gli odori in maniera più forte. Anche se ogni accortezza non serve a nulla dinanzi alla decisione di un massacro. Quando si colpisce non si bada a chi salvare e chi condannare.

(...)

Scegliere di salvare chi deve morire significa voler condividerne la sorte, perché qui con la volontà non si muta nulla. Non è una decisione che riesce a portarti via da un problema, non è una presa di coscienza, un pensiero, una scelta, che davvero riescono a darti la sensazione di star agendo nel migliore dei modi. Qualunque sia la cosa da fare, sarà quella sbagliata per qualche motivo. Questa è la vera solitudine.

(...)

La saggezza del potere possiede una pazienza che spesso gli imprenditori più abili non hanno.

(...)

Le inchieste dimostrarono che il clan Zagaria aveva già fatto accordi con le 'ndrine calabresi per partecipare con le proprie aziende agli appalti, qualora le linee dell'alta velocità avessero raggiunto Reggio Calabria. Erano pronti i Casalesi, come lo sono ora. La costola di Casapesenna del sodalizio casalese è riuscita a penetrare - secondo le indagini della Procura Antimafia di Napoli degli ultimi anni - in una serie di lavori pubblici al centro-nord partecipando alla ricostruzione dell'Umbria dopo il terremoto del 1997. Ogni grande appalto e cantiere le ditte di camorra dell'agro aversano lo possono dominare in ogni passaggio. Noli a freddo, movimento terre, trasporti, inerti, manodopera.

(...)

Sulla sinistra, poco dopo l'ingresso, c'era un'aiuola di terra nuda. Mi avvicinai a questo quadrato con al centro due lastre di marmo bianco, piccole, e vidi la tomba. "Pier Paolo Pasolini (1922-1975)." Al fianco, poco più in là, quella della madre. Mi sembrò d'essere meno solo, e lì iniziai a biascicare la mia rabbia, con i pugni stretti sino a far entrare le unghie nella carne del palmo. Iniziai a articolare il mio io so, l'io so del mio tempo.
Io so e ho le prove. Io so come hanno origine le economie e dove prendono l'odore. L'odore dell'affermazione e della vittoria. Io so cosa trasuda il profitto. Io so. E la verità della parola non fa prigionieri perché tutto divora e di tutto fa prova. E non deve trascinare controprove e imbastire istruttorie. Osserva, soppesa, guarda, ascolta. Sa. Non condanna in nessun gabbio e i testimoni non ritrattano. Nessuno si pente. Io so e ho le prove. Io so dove le pagine dei manuali d'economia si dileguano mutando i loro frattali in materia, cose, ferro, tempo e contratti. Io so. Le prove non sono nascoste in nessuna pen-drive celata in buche sotto terra. Non ho video compromettenti in garage nascosti in inaccessibili paesi di montagna. Né possiedo documenti ciclostilati dei servizi segreti. Le prove sono inconfutabili perché parziali, riprese con le iridi, raccontate con le parole e temprate con le emozioni rimbalzate su ferri e legni. Io vedo, trasento, guardo, parlo, e così testimonio, brutta parola che ancora può valere quando sussurra: "È falso" all'orecchio di chi ascolta le cantilene a rima baciata dei meccanismi di potere. La verità è parziale, in fondo se fosse riducibile a formula oggettiva sarebbe chimica. Io so e ho le prove. E quindi racconto. Di queste verità.
Cerco sempre di calmare quest'ansia che mi prende ogni volta che cammino, ogni volta che salgo scale, prendo ascensori, quando struscio le suole su zerbini e supero soglie. Non posso fermare un rimuginio d'anima perenne su come sono stati costruiti palazzi e case. E se poi ho qualcuno a portata di parola riesco con difficoltà a trattenermi dal raccontare come si tirano su piani e balconi sino al tetto. Non è un senso di colpa universale che mi pervade, né un riscatto morale verso chi è stato cassato dalla memoria storica.

(...)

Io so e ho le prove. So come è stata costruita mezz'Italia. E più di mezza. Conosco le mani, le dita, i progetti. E la sabbia. La sabbia che ha tirato su palazzi e grattacieli. Quartieri, parchi, ville. A Castelvolturno nessuno dimentica le file infinite dei camion che depredavano il Volturno della sua sabbia. Camion in fila, che attraversavano le terre costeggiate da contadini che mai avevano visto questi mammut di ferro e gomma. Erano riusciti a rimanere, a resistere senza emigrare e sotto i loro occhi gli portavano via tutto. Ora quella sabbia è nelle pareti dei condomini abruzzesi, nei palazzi di Varese, Asiago, Genova.


(...)

Don Peppino scavò un percorso nella crosta della parola, erose dalle cave della sintassi quella potenza che la parola pubblica, pronunciata chiaramente, poteva ancora concedere. Non ebbe l'indolenza intellettuale di chi crede che la parola ormai abbia esaurito ogni sua risorsa che risulta capace solo di riempire gli spazi tra un timpano e l'altro. La parola come concretezza, materia aggregata di atomi per intervenire nei meccanismi delle cose, come malta per costruire, come punta di piccone. Don Peppino cercava una parola necessaria come una secchiata d'acqua sugli sguardu imbrattati. Il tacere in queste terre non è la banale omertà silenziosa che si rappresenta di coppole e sguardo abbassato. Ha molto più a che fare col "non mi riguarda". L'atteggiamento solito in questi luoghi, e non solo, una scelta di chiusura che è il vero voto messo nel seggio dello stato di cose. La parola diviene un urlo. Controllato e lanciato acuto e alto contro un vetro blindato: con la volontà di farlo esplodere.

(...)

Devi trovare qualcosa che carburi lo stomaco dell'anima per andare avanti. Cristo, Buddha, l'impegno civile, la morale, il marxismo, l'orgoglio, l'anarchismo, la lotta al crimine, la pulizia, la rabbia costante e perenne, il meridionalismo. Piuttosto una radice sotto terra, inattaccabile. Nell'inutile battaglia in cui sei certo di ricoprire il ruolo di sconfitto, c'è qualcosa che devi preservare e sapere. Devi essere certo che si rafforzerà grazie allo spreco del tuo impegno che ha il sapore della follia e dell'ossessione. Quella radice a fittone che si incunea nel terreno ho imparato a riconoscerla negli sguardi di chi ha deciso di fissare in volto certi poteri.

(...)

Senza pentiti la storia del potere non potrebbe essere scritta. La verità dei fatti, i dettagli, i meccanismi, senza pentiti si scoprono dieci, vent'anni dopo, un po' come se un uomo capisse solo dopo la morte come funzionavano i propri organi vitali.

(...)

Sono nato in terra di camorra, nel luogo con più morti ammazzati d'Europa, nel territorio dove la ferocia è annodata agli affari, dove niente ha valore se non genera potere. Dove tutto ha il sapore di una battaglia finale.

Nessun commento:

Posta un commento