Tutto ciò che delle mie letture mi incuriosisce, mi emoziona, mi fa arrabbiare, mi fa sorridere, mi porta via, mi resta addosso per tanto tempo. Come la forma dell'intreccio della paglia. A gambe nude, d'estate.

martedì 31 luglio 2012

Da "La compagnia dei Celestini", di Stefano Benni (Feltrinelli, 1994)




Come prima cosa, accadde che si udì uno schianto e apparve Don Bracco. In mano aveva un pomello della porta, che aveva divelto con la grazia propria del suo Ordine.
"Eccheccazzo", dixit, e si fece avanti.


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Uomo assai quarantenne e spregiudicato, era inviato del giornale "Cambiare" il cui slogan era "le idee oltre le idee", le quali idee, nello sforzo di differenziarsi dalle idee precedenti, a loro volta pentitesi delle precedenti, si erano spinte tanto lontano, in una frenetica accelerazione di novità, da essere ormai praticamente invisibili. "Cambiare" faceva parte del gruppo sinergico Mussolardi (Tesseraloggia 14) che occupava tre quinti di stampa cinema e tivù di Gladonia, ma si trovava da qualche tempo in bonaccia d'audience.

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Un motoscafo senza luci passò a tutta velocità a pochi metri dal pedalò e si infilò nel porto canale schiantando due o tre gommoni. A bordo tre o quattro fidipà bevevano brut e cantavano hit a squarciagola. 

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Il policottero su cui l'Egoarca Mussolardi, l'uomo più ricco di Gladonia, passava gran parte della vita, era un modello esclusivo costruito dalla Naton. Dotato di otto punti eliche, dipinto a mano, centoventi metri di lunghezza, era in grado di stare immobile in aria per quattro giorni di seguito. Poichè Mussolardi non voleva sottostare a nessuna delle leggi che governano la gente comune, gli piaceva evadere la legge di gravità, almeno in parte, poichè la maledetta lo seguiva ovunque. Per questo passava mesi e mesi sospeso: dal policottero presiedeva le riunioni e guardava le partite della sua squadra, sul tetto del policottero prendeva il sole dei Caraibi e scalava le montagne, sul policottero dava feste, teneva il Gran Consiglio della Loggia di cui era uno dei Supremi Maestri e invitava le sue numerose amanti, anche se i maligni dicevano che Mussolardi amava tanto il policottero perchè ormai era l'unica cosa sua che si alzava.

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"Buonommo è nostro per un anno intero!"
E tutti sorrisero. Poichè una piccola debolezza di quel paese era l'ossequio ai potenti, fossero essi collaudati benefattori statali o grandi famiglie mafiose. E dopo ogni cratere di bomba e spasmo di indignazione si scatenava l'asta per i diritti cinematografici, dopo ogni grido di orrore la corsa per intervistare lo scannatore, e dopo l'abbraccio ai parenti il pensiero più o meno espresso che la vittima se l'era un po' cercata. E si correva a lavorare per il noto chiacchierato, per il riciclatore, per l'implicato, per l'amico di, e per il mafioso sì, ma tanto popolare.

(...)

Deodato tira, la palla centra il portiere in fronte, rimbalza su tutti e otto gli altri giocatori e dopo aver descritto un giro completo del campo, torna nella porta irlandese, fermandosi proprio sulla linea. Da sottoterra sbuca uno scarabeo stercorario. Vedendo la palla fangosa, la scambia per un meraviglioso gomitolo di merda e, come è nella sua natura, la spinge quei pochi centimetri sufficienti per segnare il gol. Due a uno per i Celestini. Un primo tempo fantastico.

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