Tutto ciò che delle mie letture mi incuriosisce, mi emoziona, mi fa arrabbiare, mi fa sorridere, mi porta via, mi resta addosso per tanto tempo. Come la forma dell'intreccio della paglia. A gambe nude, d'estate.

sabato 21 luglio 2012

Da "Il cacciatore di aquiloni", di Khaled Hosseini (Edizioni Piemme, 2004)




Piansi per tutto il tragitto di ritorno. In macchina vedevo le mani di Baba aprirsi e chiudersi nervosamente sul volante. Non dimenticherò mai l'espressione di disgusto dipinta sul suo viso mentre guidava in silenzio verso casa.
Quella sera, passando davanti al suo studio, lo sentii parlare con Rahim Khan. Avvicinai l'orecchio alla porta.
"...ringrazia che abbia la salute" diceva Rahim Khan.
"Lo so, lo so. Ma se ne sta sempre sepolto tra i libri e vaga per la casa con la testa fra le nuvole."
"E con questo?"
"Io non ero così" spiegò Baba, e c'era frustrazione rabbiosa nella sua voce.
Rahim Khan rise. "I figli non sono album da colorare come piace a noi."


(...)

Hassan si avvicinò e mi disse a voce bassa: "Ricordati, Amir agha. Non c'è nessun mostro, solo una giornata magnifica". Come potevo essere un libro aperto per lui, mentre io, in genere, non avevo idea di quali pensieri gli passassero per la testa? Eppure ero io quello che andava a scuola, che sapeva leggere e scrivere. Ero io il più intelligente. Hassan non conosceva l'alfabeto, ma sapeva leggere dentro di me. Avere qualcuno che in ogni momento sapeva di cosa avevo bisogno, era fastidioso, ma anche rassicurante.

(...)

Al breve chiarore di un bengala vidi qualcosa che non avrei mai più dimenticato. Con un vassoio d'argento carico di bicchieri, Hassan serviva da bere ad Assef e Wali. Qualche secondo d'oscurità, un sibilo e uno scoppio, poi un'altra pioggia di luce arancione: Assef sorrideva, dando colpetti con le nocche sul petto di Hassan. Poi l'oscurità misericordiosa.

(...)

Se fossi stato il protagonista di uno dei film indiani che Hassan e io amavamo, a quel punto sarei uscito correndo a piedi nudi nella pioggia torrenziale e avrei inseguito la macchina, urlando perchè si fermasse. Avrei trascinato fuori Hassan e gli avrei detto, mentre le mie lacrime si mescolavano alla pioggia, che mi dispiaceva. Ci saremmo abbracciati sotto al diluvio. Ma non ci trovavamo in un film indiano. Mi dispiaceva davvero, ma non piansi e non inseguii la macchina. Rimasi a guardare la Mustang di Baba sparire dietro la curva portandosi via la persona la cui prima parola era stato il mio nome.

(...)

Mancava un'ora al sorgere del sole quando gli ospiti finalmente se ne andarono. Soraya e io dormimmo insieme per la prima volta. Tutta la mia vita era trascorsa in mezzo a uomini. Quella notte scoprii la tenerezza di una donna.

Era stata Soraya a propormi di abitare insieme a Baba.
"Pensavo che desiderassi una casa nostra" dissi.
"Con Baba jan così ammalato?"
"Grazie" e la baciai.

(...)

Un giorno, di ritorno dalla farmacia, la vidi infilare qualcosa sotto la coperta di Baba. "Ehi, ti ho visto! Che cosa mi nascondete voi due?"
"Niente."
"Bugiarda!" Sollevai la coperta. Ma quando mi ritrovai in mano il quaderno rilegato in pelle non ebbi bisogno di fare domande. "Non posso credere che tu sappia scrivere così" disse Soraya.
Baba sollevò a fatica la testa dal cuscino. "Sono stato io a chiederle di leggerlo. Spero che non ti spiaccia."
Restituii il quaderno a Soraya e uscii dalla stanza. Baba non sopportava di vedermi piangere.

(...)

Credo che se avessi imbracciato un fucile per fare una strage, khala Jamila non avrebbe cessato di offrirmi il suo amore incondizionato. Lo dovevo al fatto di averle guarito il cuore dalla malattia più grave, dalla più dolorosa preoccupazione di una madre afghana: che nessun degno khastegar chiedesse la mano di sua figlia. Che Soraya invecchiasse sola, senza marito e senza figli. Ogni donna ha bisogno di un marito. Anche se mette per sempre a tacere il suo canto.

(...)

Hassan abbassò lo sguardo. Mi raccontò che Ali e suo cugino, il proprietario della casa, due anni prima erano finiti su una mina, alla periferia di Bamiyan. Erano morti sul colpo. Una mina. C'è un modo di morire più afghano di questo, Amir jan?

(...)

Mi tornò alla mente una frase che avevo letto tanto tempo fa: I bambini vincono il terrore addormentandosi.
Lo portai nel suo letto. Poi mi sdraiai sul mio, con gli occhi rivolti al cielo porpora di Islamabad.

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