Tutto ciò che delle mie letture mi incuriosisce, mi emoziona, mi fa arrabbiare, mi fa sorridere, mi porta via, mi resta addosso per tanto tempo. Come la forma dell'intreccio della paglia. A gambe nude, d'estate.

mercoledì 29 agosto 2012

Da "Una lama di luce", di Andrea Camilleri (Sellerio editore Palermo, 2012)




S'infuscò. Non s'aspittava d'essiri chiamato al tilefono. Chi era che gli scassava i cabasisi?
In linia teorica, in commissariato non avrebbi dovuto essirici nisciuno fatta cizzioni del cintralinista pirchì quella sarebbi stata 'na jornata spiciali per Vìgata.
Spiciali in quanto che il signori e ministro dell'Interno, di ritorno dalla visita all'isola di Lampidusa indove i centri d'accoglienza (sissignori, avivano il coraggio d'acchiamarli accussì!) per gli immigrati non erano cchiù 'n condizioni di continiri manco un picciliddro di un misi, le sarde salate avivano maggiori spazio, aviva espresso la 'ntinzioni di spezionari l'attendamenti di fortuna priparati a Vìgata. Che già, da parti loro, erano chini come l'ova, con l'aggravanti che quei povirazzi erano costretti a dormiri 'n terra e a fari i loro bisogni all'aperto.


(...)

"Pronti, dottori? Catarella sum".
Strammò. Catarella parlava 'n latino? Che stava capitanno all'universo? La fini del munno era vicina? Di sicuro non aviva sintuto bono.
"Che dicisti?".
"Catarella sugno, dottori".
Respirò sollivato. Aviva malo sintuto. L'universo tornò nell'ordine.

(...)

"Ha scoperto lei il tabbuto?".
"Sissi".
"Quando?".
"Stamatina verso le sei e mezza. E vi ho chiamato subito col tilefonino".
"Ieri sera è passato da qui?".
"Nonsi, sunno tri jorni che non ci vegno".
"Quindi non sa quando hanno lasciato qua il tabbuto".
"Esattamenti".
"Ha guardato dentro?".
"Certo. Pirchì, vossia no? Vinni pigliato di curiosità. Vitti che il coperchio non era avvitato e lo isai tanticchia. Ci sta un catafero cummigliato da un linzolo".
"Mi dica la verità, ha sollevato il lenzuolo per taliarlo 'n facci?".
"Sissi".
"Mascolo o fìmmina?".
"Mascolo".
"L'ha riconosciuto?".
"Mai viduto".
"Lei immagina il motivo per cui l'hanno lasciato nel suo campo?".
"Se avissi tanta 'mmaginazioni, scriviria romanzi".
Pariva sincero.
"Va bene. Si alzi, per favore. Catarella, solleva il coperchio".
Catarella s'agginocchiò allato alla cascia da morto e sollivò di picca il coperchio.
Di colpo, girò la testa di lato e storcì la vucca.
"Iam fetet" dissi arrivolto al commissario.
Montalbano fici un sàvuto narrè, sbalorduto. Allura era vero! Non si era sbagliato! Catarella parlava 'n latino!
"Che dicisti?".
"Dissi che già fete".
Ennò! Stavota aviva sintuto distintamenti! Non c'era nisciuna possibilità d'errori.
"Tu mi vuoi pigliari per il culo!" esplodì facenno 'na gran vociata che 'ntronò per primo a lui stisso.
In risposta un cani, luntano, si misi ad abbaiari.
Catarella lassò cadiri di colpo il coperchio e si susì addritta, russo come un gallinaccio.
"Iu? A vossia? Ma come ci veni 'n testa 'na cosa simili? Iu mai e po' mai mi pirmittiria di...".
Non potti continuari, dispirato si pigliò la testa tra le mano e accomenzò a lamintiarisi.
"O me miserum! O me infelicem!".
Montalbano non ci vitti cchiù dall'occhi, pirdì il controllo e gli satò di supra, agguantannolo per il collo e scutuliannolo come se Catarella era un àrbolo dal quali fari cadiri 'n terra piri maturi.
"Mala tempora currunt!" fici filosofico Lococo tiranno 'na vuccata dal sicarro.
Montalbano s'apparalizzò, agghiazzato dallo spavento.
Ci si mittiva macari Lococo col latino? Era tornato narrè nel tempo e non sinni era addunato? Allura com'è ch'erano vistuti moderni e non avivano né la tunica né la toga?
Ma a 'sto punto il coperchio del tabbuto si raprì dall'interno facenno 'na gran rumorata mentri che sbattiva 'n terra e il catafero che pariva 'na mummia si susì a lento a lento ritto.
"Ma lei, Montalbano, non ha nessun rispetto per i morti?" spiò, arraggiato nìvuro, il catafero mentri si livava il linzolo dalla facci facennosi arraccanosciri.
Era il signori e quistori Bonetti-Alderighi.

(...)

Era appena nisciuto dalla doccia che il tilefono squillò. Annò ad arrispunniri vagnando 'n terra coll'acqua che gli colava dal corpo. Era Fazio.
"Dottore, mi scusasse il distrubbo, ma...".
"Dimmi".
"Ha telefonato il questore. Ha ricevuto una comunicazione urgente. Riguarda il ministro dell'Interno".
"Ma non è a Lampidusa?".
"Sissi, ma pare che vuole viniri a visitare l'accampamento d'emergenza di Vìgata. Arriva tra un dù ore in elicottero".
"Che grannissima rottura di cabasisi!".
"Aspittasse. Il questore ha disposto che tutto il commissariato si metta agli ordini del vicequestore Signorino che tra un quarto d'ora sarà qua. La volevo avvertire".
Montalbano tirò un sospiro di sollevo.
"Grazie".
"Vossia, naturalmenti, non avi nisciuna 'ntinzioni di farisi vidiri".
"Ci 'nzirtasti".
"Che dico a Signorino?".
"Che sugno corcato con la 'nfruenza e mi scuso per l'assenza. E con molta osservanza mi gratto la panza. Quanno il ministro sinni va, chiamami ccà, a Marinella".
Epperciò la vinuta del ministro era un fatto vero.
Potiva diri d'aviri fatto un sogno premonitori? Se si, viniva a significari che il signori e quistori tra brevi si sarebbi vinuto ad attrovari dintra a un tabbuto?
No, era una semprici coincidenza. Non ci sarebbi stato un seguito. Soprattutto pirchì, a pinsarici bono, era umanamenti 'mpossibbili che Catarella si mittiva a parlari latino.

(...)

Montalbano arrivò 'n commissariato alle quattro passate, col sorriso sulle labbra, 'n paci con se stisso e col munno sano. Miracolo della pasta 'ncasciata.
Si firmò un momento davanti a Catarella che, vidennolo trasire, era scattato sull'attenti.
"Catarè, me la levi 'na curiosità?".
"All'ordini, dottori".
"Tu l'accanosci 'u latino?".
"Certamenti, dottori".
Montalbano s'imparpagliò, alloccuto. Era pirsuaso che Catarella avissi fatto a malappena la scola d'obbligo.
"L'hai studiato?".
"Studiato studiato propiamenti studiato nonsi, ma ci pozzo diri che l'accanoscio bono".
Montalbano era sempri cchiù 'ngiarmato.
"E come facisti?".
"Ad accanoscirlo?".
"Si".
"Mi lo prisintò un vicino di casa".
"Ma a cu?".
"Al raggiuneri Vicenzo Camastra chiamato 'u latino".
Il sorriso tornò sulle labbra del commissario. Meglio accussì, tutto rientrava nella normalità.

(...)

S'assittò, come a 'u solito, supra allo scoglio chiatto sutta al faro e s'addrumò 'na sicaretta.
S'addunò che, a mezzo scoglio, ci stava fermo un grancio che lo taliava fisso.
Possibbili che da tanti anni fusse lo stisso midesimo grancio che ogni tanto smurritiava tirannogli pitruzze di ghiaia?
O forsi quella famiglia di granci si era passata la parola di patre 'n figlio?
"Talè, nicarè, vidi che squasi ogni doppopranzo veni ccà il  commissario Montalbano che gli piaci jocari con nui. Porta pacienza, fallo sbariare, è un povirazzo solitario che non fa mali a nisciuno".
Ricambiò la taliata e dissi:
"Grazii, scusami grancio, ma non aio gana".
Il grancio si cataminò e, mittennosi a caminari di lato, scomparse sott'acqua.

(...)

Passò tutto l'intero doppopranzo a stuffarisi a morte firmanno carti 'nutili. Ma lo doviva assolutamenti fari non per senso del doviri ma pirchì aviva 'mparato che la sottili vinditta di 'na carta che non viniva firmata consistiva nella moltiplicazione in almeno dù autre carte, in una delle quali gli viniva addimannata spiegazioni pirchì non aviva firmato la precedenti e nell'autra gli viniva mannata copia della prima 'n caso che non l'aviva arricivuta.

(...)

E tutto 'nzemmula accapì.
Votò le spalli e si misi a corriri verso la casuzza, e, giranno l'angolo, squasi si vinni a scontrari con Fazio che stava vinenno di cursa a chiamarlo.
"Che fu?" spiò Fazio.
"Che fu?" spiò Montalbano.
"Attrovammo..." principiò Fazio.
"Attrovai..." principiò contemporaneo il commissario.
Si firmaro.
"Lo vogliamo declinari tutto il verbo attrovare?" spiò Montalbano.

(...)

Trasì Mimì Augello.
"Quanto tempo aio prima di scompariri?".
Montalbano taliò il ralogio.
"Un cinco minuti".
"Ti volivo diri che mi tornò a menti 'na cosa. 'Sta Loredana prima di maritarisi con di Marta, faciva la commissa nel supermercato di via Libertà?".
Fazio arrispunnì per Montalbano.
"Sissignura".
"Allura 'n'accanoscemo".
"O matre santa!" sclamò Montalbano. "Te la sei...".
"No, ci provò un mè amico, che me la prisintò. Ma il mè amico dovitti lassarla perdiri pirchì la picciotta stava da tempo con uno del quali era 'nnamurata persa".
"Dunque lei lo sapi che tu sei della polizia?".
"No. Io mi prisintai come l'avvocato Diego Croma".
A Montalbano vinni da ridiri. Gli parsi un nomi digno di un pirsonaggio di romanzetto rosa.
"Era il tò nomi di battaglia?".
"Uno dei tanti".
"Diciminni 'n autro che m'addiverto".
"Carlo Alberto de Magister. Ma questo quanno facivo la parti di quello che ha sangue nobili. Voglio sapiri se il fatto che n'accanoscemo compromette quello che pensi di fari".
"No. Anzi".
Squillò il tilefono.
"Dottori, ci sarebbi che ci sunno in loco un signuri mascolo e 'na signura fìmmina che dicino che vossia li convoquò".
"Sono i signori di Marta?".
"Non lo saccio, dottori, ma penso che sunno di Vìgata e no di l'isola di Marta".
Montalbano s'abbilì.
"Lassa perdiri, Catarè. E...".
"Ma se vossia voli, ci addimanno le estremità".
"Ti dissi di lassari perdiri. Fa 'na cosa, conta fino a deci e po' l'accompagni ccà".
"Devo contare a voci àvuta, dottori?".
"Come ti pari".
Riattaccò.
"Allura scompaio" fici Mimì raprenno la porta e niscenno.
"Lassala aperta!" gli gridò Montalbano.
Passò un minuto e non si vitti a nisciuno.
"Ma quanto ci metti Catarella ad arrivari a deci?" spiò Fazio.
Passato 'n autro mezzo minuto, Montalbano agguantò il tilefono.
"Catarè, e allura?".
"Dottori, portasse pacienza, ma a deci non mi ci fanno arrivari pirchì ora tilefona uno ora veni 'n autro, io mi devo 'nterrompiri e accomenzare da capo di conseguenzia ora che vossia mi chiamò mi scordai a quanto ero arrivato e ora devo arriprincipiari".
"Non contare cchiù e falli viniri ccà".

(...)

Squillò il tilefono.
"Dottori, ci sarebbi che c'è in loco il signori 'Ntintilin...".
"... tonton" concludì Montalbano.
"Nonsì, dottori, non s'acchiama accussì, s'acchiama 'Ntintilinsano".
"Fallo viniri".
Intelisano non ebbi nenti 'n contrario a fari quello che Montalbano gli addimannò.

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