Tutto ciò che delle mie letture mi incuriosisce, mi emoziona, mi fa arrabbiare, mi fa sorridere, mi porta via, mi resta addosso per tanto tempo. Come la forma dell'intreccio della paglia. A gambe nude, d'estate.

domenica 11 novembre 2012

Da "Il talento di Mr. Ripley", di Patricia Highsmith (Bompiani, su licenza per Corriere della Sera. Inchieste, 2012)




Era solitario ma non si sentiva solo. Era una sensazione molto simile a quella provata la notte di Natale a Parigi, era la sensazione di trovarsi su una ribalta con tutto il mondo che lo guardava, la sensazione di dover stare costantemente sul chi vive, di essere messo alla prova ogni minuto, perché il minimo errore gli sarebbe stato fatale. Ma era assolutamente certo che non avrebbe fatto errori. Questa certezza dava alla sua esistenza una indefinibile, deliziosa atmosfera rarefatta di purezza simile a quella, riteneva Tom, che deve provare un attore quando sale in scena, conscio di saper recitare una parte meglio di chiunque altro. Era se stesso eppure non era se stesso. Si sentiva libero e senza macchia, per quanto controllasse ogni minima azione.

(...)

Fece vedere a Marge il portone principale, con i larghi gradini in pietra. La marea era bassa e c'erano ben quattro gradini allo scoperto, i due più bassi ricoperti di uno spesso strato di muffa e alghe viscide e fluttuanti. Lo strato era molto scivoloso, fatto di lunghi filamenti vischiosi che pendevano come una massa di scarmigliati capelli verde scuro. A Tom quei gradini facevano ribrezzo. Marge, al contrario, li trovò romantici. Si chinò per guardarli meglio, fissando l'acqua scura del canale. Tom represse a stento l'impulso di spingerla dentro.

(...)

Forse non sarebbe mai più tornato negli Stati Uniti. Non era tanto l'Europa a farlo sentire così bene, quanto le serate passate per conto suo a Roma, e lì a Venezia. Serate in perfetta solitudine, a guardare cartine geografiche o comodamente seduto sul divano a sfogliare guide turistiche. Serate passate ad ammirare i suoi abiti, suoi e di Dickie cioè, e sentendo il peso degli anelli di Dickie nella mano, facendo scorrere le dita sulla morbida pelle di antilope della valigia che aveva comprato da Gucci. Aveva lucidato la valigia con uno speciale lucido inglese, non che ne avesse bisogno dato che la trattava sempre con molta cura, ma per nutrire e proteggere la pelle. Gli piaceva possedere degli oggetti, non molti, ma alcuni oggetti raffinati e selezionati con molta cura dai quali non doversi mai separare. Gli oggetti raffinati conferivano un'aria di rispettabilità a un uomo. Nessuna ostentazione, ma qualità sì. Possedere oggetti raffinati gli ricordava che esisteva e gli faceva godere la vita. Era un concetto molto semplice. E non valeva la pena? Lui esisteva. Non c'era molta gente al mondo che se ne rendeva conto fino in fondo, anche se aveva molto denaro. Non che ci volessero assolutamente i soldi o molti soldi, comunque, bastava una certa sicurezza.

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