Tutto ciò che delle mie letture mi incuriosisce, mi emoziona, mi fa arrabbiare, mi fa sorridere, mi porta via, mi resta addosso per tanto tempo. Come la forma dell'intreccio della paglia. A gambe nude, d'estate.

mercoledì 27 aprile 2011

Da "Il birraio di Preston", di Andrea Camilleri (Sellerio editore Palermo, 1995)




"Ahi ahi!" mormorò il canonico Bonmartino, studioso di patristica, che stava come al solito autoimbrogliandosi con un solitario.
"Che vuole venirmi a significare con questo suo ahi ahi?".
"Niente" spiegò il canonico con una faccia tanto serafica che pareva che due angileddri gli volassero torno torno la testa. "Vengo solo a significarle che in lingua talìana tristano sta per culo malinconico. Ano triste. E se tanto mi dà tanto, m'immagino che l'opera dev'essere una billizza".
"Allora manco lei capisce una minchia di Uogner!".



(...)

Il generoso pettorale della vedova era investito da un fortunale forza dieci, la minna di babordo scarrocciava verso nord-nord ovest e quella di tribordo invece andava alla deriva verso sud-sud est. Mogliera di un marinaio annegato nelle acque di Gibilterra, non le riusciva di pensare con altre parole, sapeva adoperare solo quelle marine che il marito le aveva imparato da quando si era maritata a quindici anni fino ai venti, quando aveva dovuto pigliare il lutto stretto.


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Scoperti i cadaveri ormai mangiati da cani e corvi, il delegato, fatta una sbrigativa indagine e sempre persuaso che due più due facessero quattro, era andato di corsa ad arrestare don Memè. Nel giro della stessa giornata, dieci insospettabili abitanti di Varo, a cinquanta chilometri da Montelusa, si erano precipitati a testimoniare che il giorno del duplice omicidio don Memè era nel loro paese, a godersi la festa di san Calogero. Tra i fornitori dell'alibi c'erano il ricevitore postale Bordin Ugo, veneto, il dottor Pautasso Carlo Alberto, astigiano, direttore dell'ufficio imposte, e il ragionier Ginnanneschi Ilio, pratese, addetto al catasto.
"Ma quant'è bella l'unità d'Italia!" aveva esclamato don Memè con un sorriso più cordiale del solito, mentre gli si aprivano le porte del carcere.


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Il picciotto vedeva la luce di una sola verità: che il bianco era bianco e il nìvuro era nìvuro. Scarsi gli anni ancora per capire che quando il bianco sta vicino vicino al nìvuro fino a toccarlo, si forma, tra i due colori, una linea media, una linea d'ùmmira, dove il bianco non è più bianco e il nìvuro non è più nìvuro. Il colore di quella linea si chiama grigio. E dentro quella linea, dove due colori maritandosi ne hanno figliato un terzo, ogni cosa è difficile che trovi nome e figura di netta visione. E' come quando la sira si fa avanzata, e lo scuro che non è ancora scuro fitto, notte, ti fa scangiare una persona per un àrbulo. Ma il picciotto di queste preoccupazioni non teneva, si vede che sapeva dove mettere i piedi magari quando la luce abbacava.


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Nel maneggio del rasoio il camperi era maestro, magari se mai in vita sua aveva fatto il varberi.

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